22.4.22

PALAZZO FARNESE




Il Palazzo Farnese di Caprarola si rivela una specie di Pompei del Rinascimento per averci conservato un’eredità architettonica e pittorica di grande rilievo del ‘500 e con essa il riflesso lontano, quanto prezioso, dello stile elegante del modo di vivere della Corte Pontificia dell’epoca. Il palazzo porta il nome della Famiglia Farnese che estese il suo potere dalla Tuscia sin dentro il cuore della Città Eterna, diventando protagonista sulla scena politica d’Italia e d’Europa del XVI secolo.
Palazzo e villa vennero inseriti in un piano urbanistico in cui il grande pentagono, la dimora del signore, legata al borgo con la via dritta, domina il paese dall’alto come un vero Olimpo. Una soluzione che ben riflette la volontà del committente, il Card. Alessandro Farnese il giovane (1520-1589) di celebrare il potere della casata facendo erigere un palazzo forse ancor più esclusivo di quello di Roma, immortalando la memoria della famiglia ai posteri. Il grandioso progetto fu affidato dal cardinale a Jacopo Barozzi da Vignola (1507-1573) che ebbe quindi il compito di adattare l’idea di un luogo di diletto e di rappresentanza ad una fortezza preesistente disegnata da Antonio da Sangallo il giovane nel 1530, rimasta incompiuta. Gli spazi interni del pentagono a 5 piani vennero organizzati dal Vignola attorno al cortile circolare secondo un ordine di simmetrie perfette e disposti in base alla loro funzione e alla gerarchia di chi li occupava. L’esteso ciclo pittorico tardo-manierista (7650 mq.) fu interamente commissionato dal Card. Alessandro Farnese il giovane al cui servizio lavorarono i più noti umanisti ed iconografi del periodo come Annibal Caro, Fulvio Orsini, Onofrio Panvinio i quali elaborarono, ricorrendo alla mitologia classica, alla storia sacra, alla storia, il ciclo iconografico realizzato dagli artisti tra i più famosi dell’epoca, come Taddeo e Federico Zuccari, Jacopo Bertoja, Giovanni de’ Vecchi, Raffaellino da Reggio, Antonio Tempesta, Antonio da Varese.

































































C.M.